La fotografia di matrimonio come nuovo genere artistico
La fotografia di matrimonio come nuovo genere artistico – DoppioZero
Maria Pia Pozzato
È noto, per lo meno da che la pop art ha fatto il suo ingresso nel mondo contemporaneo, che un barattolo di zuppa o la foto imbrattata di colore di una diva possono essere arte. Non è quindi la nobiltà del soggetto a decretare il carattere artistico dell’opera, né l’abilità sublime d’esecuzione, né l’originalità delle forme se, proprio in questi giorni, il Balloon Dog (Orange) di Jeff Koons è stato battuto da Christie’s per 58,4 milioni di dollari nonostante la sua forma (pur nei ragguardevoli quattro meri d’altezza) sia analoga a quella che chiunque di noi otterrebbe facilmente strozzando in più punti un palloncino gonfiabile. Tuttavia, a dispetto di questa disinvoltura nell’attribuire carattere artistico a questo o quel manufatto, pare resistere un incrollabile pregiudizio riguardo la foto di matrimonio. Si concede al massimo lo statuto di onesto professionista a chi ritrae spose troppo truccate, parenti istoriati come cofanetti Sperlari, bambine in scarpe di vernice e locations da sogno come ville Venete mal riscaldate, ristoranti ricavati nelle stalle di castelli, catering estivi in isole lagunari dove le zanzare attaccano i commensali come stormi della RAF. Insomma il Signor Fotografo, chiamato a immortalare l’evento, sembra destinato a non lasciare altra traccia di sé se non l’album écru dove verranno raccolti i suoi scatti migliori.
Invece, sfogliando il libro appena uscito del fotografo senese Carlo Carletti Fotografie di matrimoni (Marsilio, a cura di Denis Curti) mi si è aperto un mondo che non conoscevo e che forse pochi conoscono: quello della foto di matrimonio autoriale, che vanta associazioni, premi internazionali e una folta schiera di adepti spesso bravissimi, come Carletti, appunto. Se si visitano i numerosi siti dedicati, si trovano nomi come quelli di Morgan Lynn Razi, Matt Miller, Ryan Brenizer, Samm Blake, Ryan Joseph, Emin Kuliyev, Ashley and Jeremy Parsons, Sean Flanigan, Todd Hunter McGaw, Tyler Wirken, ecc., dietro ciascuno dei quali si annida un portfolio fantastico di scatti molto belli, tutti colti durante cerimonie e feste di nozze.
Nel mio caso, l’ignoranza è ancora più colpevole dato che ho studiato recentemente proprio delle foto di matrimonio, anche se la mia indagine verteva soprattutto sul trentennio 1960-1980 e su un corpus limitato di foto di matrimonio scattate in quegli anni a Bologna (“Le foto di matrimonio. Analisi di una trasformazione estetica e sociale a partire dagli anni Sessanta.”, in Foto di matrimonio e altri saggi, Bompiani, 2012). La mia analisi aveva messo in luce non tanto l’artisticità della foto di matrimonio quanto il passaggio, a cavallo degli anni Settanta, a una estetizzazione del matrimonio. Quest’ultimo, da festa famigliare e domestica, cominciava a diventare una sorta di evento teatrale; le persone non erano più sprovvedute davanti alla macchina fotografica ma si mettevano in posa sempre più sapientemente, in base a modelli di varia ispirazione. Insomma dalla foto di matrimonio come “rappresentazione della stirpe” (Pierre Bourdieu, La fotografia. Usi e funzioni sociali di un’arte media, Guaraldi, 2004)
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